Anche questa settimana, propongo un breve approfondimento in tema di successione ereditaria, argomento che suscita sempre – soprattutto in questo momento di crisi economica – un vivo interesse.
L’oggetto della discussione odierna sarà la quota di legittima e, nello specifico, successivamente ad una premessa generale sull’istituto, si focalizzerà l’attenzione sugli atti di liberalità effettuati dal de cuius (per chi non si ricordasse, è il soggetto defunto della cui eredità si tratta..) in vita, ovvero le donazioni.
Ritengo sia utile, come sempre, partire dal dato normativo.
Il nostro codice civile, nel libro secondo (dedicato interamente alle successioni), titolo I – Disposizioni generali sulle successioni, all’art. 536 ci indica chi siano i “legittimari”, ovvero le persone a favore delle quali la legge riserva (comunque) una quota di eredità o altri diritti nella successione.
Essi sono: il coniuge, i figli (legittimi e naturali), gli ascendenti legittimi.
Ai figli legittimi sono equiparati i legittimati e gli adottivi.
A favore dei discendenti dei figli legittimi o naturali, i quali vengono alla successione in luogo di questi, la legge riserva gli stessi diritti che sono riservati ai figli legittimi o naturali.
Da ciò si evince che:
– Esiste una porzione di eredità (riserva o quota indisponibile) della quale il testatore non può disporre né a titolo di liberalità (donazione), né mortis causa (con disposizioni testamentarie), poiché spetta per legge ad una ristretta cerchia di soggetti, più prossimi al de cuius per vincolo di parentela o di coniugio, denominati legittimari;
– Il patrimonio ereditario deve, di fatto, considerarsi costituito da una quota disponibile di cui il testatore può liberamente disporre e da una quota di legittima, indisponibile poiché riservata per legge ai legittimari.
Una precisazione si rende necessaria. La quota di legittima va sempre considerata quantitativamente e non qualitativamente, nel senso che spetterà al soggetto legittimario un certo valore percentuale del patrimonio, indipendente dalla sua composizione.
Il codice civile, negli artt. da 537 a 546 indica quali siano le quote di riserva spettanti alle varie categorie di legittimari e disciplina le ipotesi di concorso tra le diverse categorie.
A titolo esemplificativo si segnala che (art. 537 c.c) se il genitore lascia un figlio solo, legittimo o naturale, a questi è riservata la metà del patrimonio. Se i figli sono più, è loro riservata la quota dei due terzi, da dividersi in parti uguali tra tutti i figli, legittimi e naturali;
in caso di concorso (art. 542 c.c.) tra il coniuge ed un solo figlio, legittimo o naturale, a quest’ultimo è riservato un terzo del patrimonio ed un altro terzo spetta al coniuge. Quando i figli, legittimi o naturali, sono più di uno, ad essi è complessivamente riservata la metà del patrimonio e al coniuge spetta un quarto del patrimonio del defunto.
Effettuata tale breve premessa, certamente non esaustiva, esaminiamo un caso concreto.
Cosa accade nel momento in cui il genitore, durante la propria esistenza, doni del denaro o beni immobili o aiuti economicamente uno dei due figli (a danno dell’altro) per l’acquisto di una casa?
Il nostro ordinamento mette a disposizione dei soggetti che subiscano una lesione della quota di legittima (per effetto di atti di disposizione, donazioni oppure in caso di testamento) uno strumento, denominato “azione di riduzione”, finalizzato ad invalidare gli atti che hanno cagionato la lesione stessa e, conseguentemente, a reintegrare la quota spettante per legge.
È di tutta evidenza che all’apertura della successione, preliminarmente all’azione di riduzione, si dovrà procedere, innanzitutto, ad una riunione, c.d. fittizia del patrimonio del de cuius, al fine di poter calcolare l’ammontare della quota indisponibile di riserva.
L’art. 556 c.c. prevede infatti: per determinare l’ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre si forma una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte (denominata “relictum”), detraendone i debiti.
Questi ultimi andranno detratti esclusivamente dal relictum, non dal valore dei beni donati. A tale categoria appartengono altresì tutti (debiti) quelli sorti per effetto del decesso, quali ad es. le spese funebri, etc..
Si riuniscono quindi fittiziamente (a mezzo operazione matematico-contabile) i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, secondo il loro valore […], e sull’asse così formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre.
Rilevato che, rispetto all’atto di liberalità, il decesso potrebbe avvenire parecchio tempo dopo – in tal caso risulta di tutta evidenza come possa essere tutt’altro che agevole procedere all’accertamento, ad es. presso gli Istituti bancari, dei movimenti finanziari effettuati nel corso degli anni (indagine che, verosimilmente, potrebbe rivelarsi problematica ed incompleta)– sarebbe sempre auspicabile che all’interno della famiglia si potesse, prima di incardinare qualsiasi azione, effettuare una discussione civile, finalizzata a definire bonariamente la questione.
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