“Another Earth”, che ha vinto il Sundance dello scorso anno, esce il 18 maggio nelle sale ed è un capolavoro. Da assumersi con moderazione, perché terminata la visione vi sentirete sopraffatti e sconfitti.
La protagonista è Rhoda (un’intensissima Brit Marling), promettente studentessa che sta per entrare al MIT. La sera della sua festa di ammissione all’università, si scopre l’altra terra. Ovvero, un pianeta identico al nostro, che si sta avvicinando a noi. Mentre guarda in cielo, si schianta contro un’auto ferma a un semaforo, uccidendo madre e figlio a bordo. La sua vita è distrutta. Finirà in carcere e, una volta uscita, il promettente genio farà le pulizie nella sua ex scuola. Ma un giorno, decide di cercare il padre, John (William Mapother). Tra i due si crea un rapporto fatto di silenzi e di musica. Entrambi hanno la vita distrutta da quell’episodio di cui non parlano mai. Entrambi hanno sprecato il loro talento (lui era un professore e un musicista), entrambi sono diventati white scum, entrambi non parlano, entrambi sono ossessionati dall’altra terra, dove si scopre vivono alter ego, o doppleganger , di ogni persona sulla Terra. Quindi, lassù, forse, il loro alter ego ha avuto una vita migliore, è quel che entrambi pensano, ma non dicono mai. Rhoda fa un concorso, riesce a vincere: sarà la prima persona a visitare l’altra terra. Va a comunicare la novità a John. Viene scoperta: è lei l’assassina. John l’abbandona. Lei alla fine gli cede il proprio posto, in un finale atto di autopunizione. Sarà lui a partire, perché lassù, forse, sua moglie e suo figlio non sono morti. La vita della ragazza riprende come sempre, sino al colpo di scena finale.
Il film di Mike Cahill è intenso e poco parlato. Si gioca sulle tensioni e le angosce che i personaggi (anche secondari, su tutti, maestoso l’inserviente muto) portano dentro., Bisogna capirlo, capire perché Rhoda cerca John, perché lui l’accetta, perché si innamorano (senza dirlo mai, né fare alcunché di romantico), perché hanno deciso di sacrificare le loro vite e perché l’amore dà loro la spinta per forse fare qualcosina (per Rhoda una minima cosa) per riprendere in mano se stessi. Perché Rhoda grazie all’amore decide di andarsene dalla Terra, abbandonando il suo uomo che proprio questa forza le ha dato. Perché lui la lascia andare o, meglio, se ne va, scegliendo l’altra vita, quella precedente a lei. Un film che potrebbe essere di fantascienza (“Solaris”) o rieccheggiare “Malincholia” diventa una pellicola di espiazione, e poi cambia ancora: il suo tema è il doppio. John è il doppio di Rhoda, che incontrerà poi il suo vero doppio (che evidentemente ha vinto sull’altra terra lo stesso concorso fatto da lei, e non ha ceduto il biglietto a John, perché su altra terra John è felicemente sposato). Come sarebbe il vostro, su Terra2?
Il film è talmente pervaso da un senso di determinazione, dal messaggio che tanto è inutile opporsi al proprio destino, che neanche la scena finale, che sta ad indicare che nell’altro mondo forse le cose possono essere andate meglio, riabilita il messaggio.
Perfetti gli interpreti, comunicano a sguardi, ad atteggiamenti. La regia è gelida, documentaristica. La fotografia fredda, grigia, scarna, squallida.
Il film è maestoso, e fa piangere incessantemente. Si osservano queste due persone mandare a quel paese la loro esistenza, e si soffre con loro e per loro, perché non c’è, non ci potrà mai essere una via d’uscita. Per loro, ma forse anche per noi.
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